Concerto per Anniversario 1946 – 2022 – J.S. Bach (1685 – 1750) – Lobet den Herrn, alle Heiden
J.S. Bach (1685 – 1750)
Lobet den Herrn, BWV 230, per coro e organo
Lobet den Herrn, alle Heiden,
und preiset ihn, alle Völker!
“Dopo la morte di Johann Sebastian Bach (1685-1750), la maggior parte delle sue opere sacre fu pressoché dimenticata e dovette attendere l’avvento del Romanticismo per essere almeno in parte riscoperta; solo i Mottetti continuarono ad essere eseguiti e conosciuti, durante tutto il secondo Settecento, in forza di una tradizione che assegnava ancora un ruolo importante alla pratica dei cosiddetti Sonnabend-Motetten, ovvero ai Mottetti che si intonavano nei Vespri del sabato, ma anche in virtù della particolare concezione stilistica che unisce in quelli composti da Bach la più rigorosa disciplina contrappuntistica a una spiccata cura per la melodia, generando una straordinaria fusione di stile antico e gusto “moderno”.
Nel Settecento, i Mottetti divennero così uno dei pochi punti di riferimento per coloro che intendessero studiare l’opera vocale di Bach, e non sorprende il fatto che all’inizio dell’Ottocento, in coincidenza con la sistematica rinascita dell’interesse per Bach, i Mottetti figurassero come la prima serie di opere vocali ad essere pubblicata in partitura, nel 1803, a cura di Johann Gottfried Schicht, per l’editore Breitkopf & Härtel di Lipsia.
Durante la sua vita Bach non si era dedicato con particolare assiduità a questo genere musicale, in quel tempo l’eredità più importante dell’antica tradizione sacra. Secondo una prassi ormai ben consolidata, infatti, gli usi correnti della liturgia venivano soddisfatti facendo ricorso a una serie di antichi repertori, dai quali si traevano i brani che dovevano essere eseguiti tutte le domeniche, all’Introito e alla Comunione, nei Vespri e in alcune delle occasioni celebrative minori.
A Bach, che in qualità di Kantor della chiesa di San Tommaso era responsabile delle esecuzioni musicali in ciascuna di queste occasioni, non restava di norma che scegliere fra gli antichi mottetti riportati nelle raccolte dell’epoca, alle quali Bach avrebbe attinto anche per i temi di numerosi corali: da queste raccolte venivano tratte opere di antichi maestri italiani e tedeschi, con la tendenza a favorire sempre più nella scelta i mottetti che questi ultimi avevano composto su testi in tedesco, ricavati a loro volta dai salmi, da passi biblici in genere o dalla poesia sacra originale, quella dei cosiddetti Kirchenlieder. Il dovere di comporre brani originali si limitava dunque per Bach a poche occasioni, nelle quali egli poteva disporre oltretutto di un coro molto più ampio di quello ordinario. E’ dunque comprensibile che il catalogo delle opere bachiahe si riveli piuttosto avaro nel caso dei Mottetti: le prime testimonianze storiche riferiscono di un corpus costituito complessivamente da undici lavori soltanto, alcuni dei quali a doppio coro. Gli studi più aggiornati limitano invece ad otto il numero complessivo dei mottetti giudicati autentici.
Nonostante il numero relativamente esiguo dei mottetti effettivamente composti da Bach, l’interesse del musicista per questo genere musicale si riflette in molte altre sue opere, nelle quali o si trovano impiegati gli stessi principi di organizzazione del materiale musicale che sono tipici del Mottetto, o viceversa si rintracciano esempi di scrittura che Bach avrebbe poi riutilizzato nei Mottetti. Si può dire anzi che l’intima unità e l’originalità della concezione di questi brani dipendano in gran parte proprio dallo stretto legame con il resto della produzione vocale, bachiana.
Se si pensa infatti ai modelli del cosiddetto Stylus antiquus di ascendenza palestriniana, ai florilegi del contrappunto fiammingo o al ricco interscambio delle masse corali proveniente dall’antica scuola veneziana, l’influenza dello stile mottettistico si può riscontrare nella grande Messa in si minore BWV 232 e in numerosi altri brani di Bach. Se però si considera la struttura interna dei mottetti bachiani, la loro articolazione formale spesso simile a quella di una successione di “movimenti”, talvolta realizzati con opzioni linguistiche ed espressive differenti, allora non si può disconoscere neppure l’influenza esercitata su queste opere dal grande lavoro di ricerca compiuto da Bach nelle sue Cantate. Qui la fusione di una logica compositiva arcaica e di uno spirito drammatico piuttosto accentuato aveva portato Bach alla creazione di un organismo sonoro complesso, capace di accogliere in sé spinte e motivazioni diverse, senza nulla perdere della propria coesione costruttiva. Ora lo stesso avviene nei Mottetti, nei quali anzi la più chiara riconoscibilità di un’impostazione stilistica rivolta verso un modello antico, consente all’autore un uso particolarmente intenso del contrappunto, coniugato con quella «impressionante invenzione di figure» che – secondo il parere del musicologo Alberto Basso – ha reso i Mottetti di Bach «le più stupefacenti creazioni nel campo della polifonia vocale» del suo tempo. Il profondo rapporto con il genere della Cantata, sottolineato già dai primi studiosi dell’opera di Bach, ha impresso alla pratica del Mottetto una svolta dinamica: il corso di queste composizioni è diventato infatti con Bach più vario e accidentato, trasformando anche la semplice variazione dei movimenti e della struttura ritmica in un elemento portante dell’intero edificio musicale.
Fino a poco tempo fa, sulla scorta di una visione fortemente idealizzata della musica vocale sei e settecentesca, era comune l’esecuzione dei Mottetti di Bach con il solo coro a cappella, cioè privo di accompagnamento strumentale; oggi è invece attestata la più verosimile pratica di accompagnare l’esecuzione con uno strumento che realizzi il basso continuo (organo o clavicembalo, eventualmente sostenuti dal violone) e con strumenti ad arco che raddoppiano la linea delle voci procedendo, come si suol dire, «colla parte».
Le partiture autografe e le più antiche testimonianze a riguardo attestano esplicitamente l’uso degli strumenti solo nel caso dei Mottetti Ber Geist hilft BWV 226 e Fürchte dich nicht BWV 228, anche se in questo è possibile che gli archi siano stati aggiunti da uno dei figli di Bach, Carl Philipp Emanuel. Anche negli altri casi, tuttavia, è attendibile l’ipotesi che stabilisce comunque l’intervento di un accompagnamento che all’epoca di Bach poteva anche non essere esplicitamente indicato, poiché dipendeva più dalle circostanze dell’esecuzione e dagli organici che si avevano effettivamente a disposizione, che non da una rigida regola di comportamento.
Il primo dei Mottetti è Lobet den Herrn BWV 230 (“Lodate il Signore, nazioni tutte”), a quattro voci, l’unico che suscita ancora qualche incertezza di attribuzione. Non si conoscono infatti né la data di composizione, né la sua destinazione; è stato infatti pubblicato per la prima volta nel 1821 dalla casa editrice Breitkopf & Haertel di Lipsia basandosi, a suo dire, sul manoscritto autografo di Bach, documento originale del quale non vi è più traccia dal 1880.
I dubbi sorgono anche nei confronti della scrittura vocale, insolitamente virtuosistica nel contrappunto delle parti corali; inoltre, diversamente dagli altri cinque, questo è l’unico mottetto scritto per coro a quattro voci, è l’unico a cui manca un corale conclusivo ed è musica celebrativa non di lutto.
È anche l’unico ad includere una parte autonoma per il basso continuo, scritta separatamente e indipendente dalle altre parti: ciò fa ritenere che possa essere il frammento di un’opera più ampia.
Basato sul testo del Salmo 117, Lobet den Herrn si apre con una doppia fuga su un tema ad arpeggio su cui le voci entrano entusiaste – nettamente dall’alto verso il basso – sulle parole «Lode al Signore, nazioni tutte: lodatelo, popoli tutti»; I grandi balzi del primo tema ‘Lobet’ sono quindi seguiti da un nuovo motivo increspato sul testo ‘und preiset’; Nella seconda parte, ascoltiamo il resto del brevissimo testo del salmo: «Poiché la sua misericordia è grande verso di noi: e la verità del Signore dura in eterno», prima in semplice e sereno contrasto omofonico con la polifonia precedente, e poi ancora una volta come una sorta di doppia fuga – con protagonista i tenori – sul tema dell”eternità’.
Come bonus finale, un danzante “Alleluia!”, mirabile fugato che chiude idealmente l’invito del primo verso in un’atmosfera gioiosa ed eccitante”
Giuseppe Cappotto